Innovazione - Il modello Technology Push

Innovazione – Il modello Technology Push

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Nel nostro articolo Innovazione: Il modello Black Box secondo Kline e Rosenberg abbiamo visto come l’innovazione sia un concetto difficile tanto da definire quanto da misurare e come essa non sia l’immediata applicazione delle teorie scientifiche astratte, ma richieda lo sviluppo di componenti affini e complementari, anche a livello di processi, metodologie ed organizzazione, affinché essa possa trovare concretezza.

La nascita del modello Technology Push, detto anche modello lineare, viene fatta risalire all’intervento dello scienziato Vannevar Bush al Presidente degli USA Science: The Endless Frontier del 1945.

Il modello Technology Push individua nelle scoperte scientifiche e tecnologiche il driver primario dell’innovazione. Le innovazioni, secondo tale modello, sono il risultato di nuove scoperte scientifiche che portano a nuove soluzioni tecnologiche. Il cambiamento tecnologico segue un percorso lineare dove emerge come dominante la scienza, che ha nell’attività di ricerca il proprio motore.

Il modello Technology Push attribuisce quindi all’attività di ricerca e sviluppo il ruolo di fonte esclusiva del processo innovativo e ritiene che il progresso scientifico e tecnologico segua percorsi non influenzati dalle esigenze del mercato.

Le componenti della ricerca di base e ricerca applicata giocano in tale modello un ruolo chiave nel processo di innovazione. Ricerca, Sviluppo, Marketing e Produzione sono collegate secondo una sequenza logico-temporale lineare che non ammette l’esistenza di feedback ed interazioni continue. La sequenza logico-temporale prevede una demarcazione ben precisa delle fasi. Ciascuna coinvolge attori differenti che agiscono in modo indipendente e parallelo. L’invenzione ha una sua autonomia che poggia le sue fondamenta sul valore aggiunto apportato dalla conoscenza in essa incorporata. L’innovazione, ossia l’applicazione commerciale dell’invenzione, non ha una sua autonomia in quanto è il risultato del processo di trasformazione dell’invenzione in un prodotto o servizio utile che può produrre benefici economici e sociali.

Una delle ragioni a sostegno di tale modello è la centralità delle nuove ricerche e delle scoperte scientifiche nello sviluppo delle innovazioni, oltre che la correlazione, riscontrata in molti settori, tra gli investimenti in ricerca e sviluppo e l’output innovativo delle imprese.

Tali conclusioni sono state sostenute da molti autori, concordanti sulla prevalenza della spinta tecnologica all’interno dei processi innovativi.

Keith Pavitt, nel suo The Condition for Success in Technological Innovation del 1971, osserva come il potenziale innovativo di un Paese presenti una correlazione molto più elevata con i fattori dell’offerta, che non con quelli della domanda.

Nathan Rosenberg, nella sua opera Inside the Black Box: Technology and Economics del 1982, sottolinea come la domanda assuma un ruolo decisamente minore nell’introduzione di cambiamenti tecnologici rilevanti.

Secondo il modello Technology Push, l’organizzazione che faccia ricerca ed investa in ricerca, otterrà lo sviluppo di un prodotto o di servizio, per poi occuparsi della produzione e della pubblicità.

 

Fenomeno dell’asimmetria informativa in cui un'informazione non è condivisa integralmente fra gli individui facenti parte del processo economico: dunque una parte degli agenti interessati dispone di maggiori informazioni rispetto al resto dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa configurazione.

Figura 1 – Modello technology Push.

 

Si tratta di un modello sicuramente influenzato dalla fiducia nel progresso della scienza tipico degli anni Cinquanta, in cui il boom tecnologico ed economico dava grandi speranze, ma è altresì influenzato dal preponderante pensiero di Joseph Alois Schumpeter che, nell’opera Teoria dello sviluppo economico, fa dell’imprenditore la figura protagonista ed essenziale delle azioni economiche. Ed è infatti lo stesso imprenditore che agisce ed è l’iniziatore dell’investimento stesso nella ricerca.

Il modello è sicuramente molto semplificato. Non è infatti presente alcuna interazione dei singoli reparti con l’ampia complessità del mercato. Inoltre, come evidenziano Stephen J. Kline e Nathan Rosenberg, non ci sono feed-back che si intersecano o flussi di informazioni che vengono trasferiti da un comparto all’altro. Feed-back e report che nella realtà risultano essere assolutamente fondamentali nella decisione che porta il prodotto o il servizio alla fase successiva o alla valutazione delle performance.

In un contesto ideale, ciascuno sarebbe in grado di massimizzare il procedimento, e quindi il profitto, in ogni singola operazione.

Nel mondo reale, dove le informazioni sono tutt’altro che complete per cui le persone non sono in grado di sfruttarle completamente¹, dove vige un alto tasso di incertezza per ogni azione che si compie e molti non sono disposti a rischiare, e dove è sempre presente anche un’importante componente tacita dell’informazione (che risulta spesso essere essenziale), la necessità di comunicazione assume un ruolo di primaria importanza.

E di comunicazione connessa all’innovazione abbiamo infatti parlato nel nostro Il potere della semplicità, nel nostro Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio? per inquadrarne l’importanza in Human innovation: l’innovazione con l’elemento umano al centro.

 

¹ Fenomeno dell’asimmetria informativa in cui un’informazione non è condivisa integralmente fra gli individui facenti parte del processo economico: dunque una parte degli agenti interessati dispone di maggiori informazioni rispetto al resto dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa configurazione.

 

Bibliografia:
  • Innovazione Tecnologica, Impresa e Competitività, G. Adamoli
  • Teoria dello sviluppo economico, Joseph Alois Schumpeter
  • The Condition for Success in Technological Innovation, Keith Pavitt
  • Inside the Black Box: Technology and Economics, Nathan Rosenberg
  • Science: The Endless Frontier, Vannevar Bush
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