Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio?

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio?

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Da sempre il tema del dare o non dare fiducia è centrale nelle relazioni umane. Prendiamo oggi il corona virus che ha gettato un senso di sfiducia generale su di noi, un’ombra pesante sulla nostra vita lavorativa e affettiva, trasformando il vicino cordiale, il collega simpatico, l’amico di sempre in potenziali untori. La parola sotto traccia è proprio la fiducia, o meglio, la sua mancanza, che genera stress, ansia e ovviamente costi. 

Va detto che il senso di sfiducia non sempre ha per oggetto solo gli altri. Spesso il nostro fare sospettoso ha origine dalla mancanza di fiducia in noi stessi. Ma con noi stessi tendiamo a essere più benevoli perché ci giudichiamo sulla base delle intenzioni. Con gli altri siamo più severi perché il metro di misura cambia: entrano in gioco i fatti, con scarsa o nessuna considerazione verso le intenzioni.

La fiducia non è una questione nodale solo per chi si occupa di negoziazione, ma attiene a molteplici, azzardo a dire a tutti, gli aspetti delle relazioni umane e animali.

Molti organismi monocellulari si sono estinti scegliendo l’isolamento dettato dalla sfiducia, per altri l’aggregazione fondata sulla fiducia ha rappresentato la sopravvivenza. 

Scegliere una modalità di relazione o un’altra spesso è proprio ispirato da una valutazione fondata sulla fiducia.

Prendiamo le informazioni, la cui condivisione è direttamente proporzionale al tasso di innovazione: dove circolano, grazie alla fiducia, mi aspetto maggior innovazione; l’opposto per il venire meno di questa circolarità informativa. 

Tipicamente aziende organizzate a silos impermeabili sono condannate a un basso tasso di innovazione. 

Consideriamo tre aspetti: 

 

  • Perché diamo o non diamo fiducia? 
  • Qual è il rischio del concederla o meno?
  • Come si può affrontare?

 

Dare o non dare fiducia dipende da vari fattori: valori, credo, attitudini, caratteri, come pure le esperienze che ci influenzano e alterano i nostri comportamenti più istintivi. 

Sarebbe un errore in questa breve analisi soffermarsi sul tema valoriale e attribuire alla persona fiduciosa dei meriti, e dei demeriti al diffidente. Mi fermo sulla soglia del giudizio etico.

Il dare come il non dare fiducia espongono a un rischio

Nel primo caso quello della mancata riconoscenza. Al netto dei santi, una pacca sulla spalla prima o poi la desideriamo tutti! Nella maggior parte dei casi recriminare altro non è dovuto che alla delusione di una fiducia mal riposta.

Non dare fiducia, e di fatto perseguire solo il proprio interesse, espone al conflitto o quantomeno a uno stress relazionale forte. 

Quindi che fare?

Pensare di risolvere questo dilemma, che la teoria dei giochi studia da anni, è utopico. 

Di fatto la fiducia è un acceleratore decisionale, una irrinunciabile scorciatoia cognitiva a cui ricorriamo in assenza di informazioni complete. Sarebbe impossibile vivere senza fiducia, dovremmo immaginare un mondo di astenici asociali. Ma dall’altra espone a dei rischi, come dicevo. 

Intanto, lo spiega molto bene S. Covey in The Speed of Trust, saper generare fiducia è una capacità che come tale si può costruire e allenare. Aggiungo che l’esercizio di questa capacità può trovare fertile applicazione in sistemi economico-culturali che ne incentivano il ricorso o ne puniscono la violazione. 

Detto ciò, ogni giorno viviamo il dilemma del dare o non dare fiducia, e, senza pretesa di risolverlo, la negoziazione ci permette però di affrontarlo.

Tipicamente il concedere, confuso con la flessibilità, espone al rischio di una reazione di maggior avidità da parte del beneficiario. Chi riceve senza percepire il valore di quanto viene concesso, chiederà o si aspetterà di più in futuro, anche in totale buona fede. Chi concede crea un precedente e pericolose aspettative future. 

Credo che la quotidianità con i figli dia piena evidenza di ciò. 

I negoziatori non negano la fiducia e non la regalano. Dicono sì ma alle loro condizioni. La magia dello scambio negoziale sta nel chiedere agli altri qualche cosa che abbia valore per noi e poco o assenza di valore (in qualsiasi modo lo si intenda) per loro

Se tu… allora io, dove il se è una condizione che so non pesare al mio interlocutore e avere valore per me.

Costruire fiducia è doveroso, ma esige cautela e grandi capacità. 

Nel suo libro Covey propone questo semplice e utile esercizio.

Proviamo a pensare a una relazione con qualcuno nel mondo del lavoro – un collega, un collaboratore, un cliente, un fornitore -, o a una persona nella cerchia degli affetti con cui abbiamo una relazione di fiducia: che tipo di sensazioni ci evoca? Quanto ci appaga? Gode di una comunicazione fluida, semplice e trasparente? Dà una sensazione generale di benessere?

Facciamo l’opposto: pensiamo a una relazione in cui invece regnano sfiducia e sospetto. Che tipo di sensazione ne ricaviamo? Malessere e pesantezza? Come scorre la comunicazione, lenta e farraginosa? Sentiamo che anziché darci, ci toglie energia?

L’innovazione ha bisogno di fiducia come noi dell’ossigeno: saperla irrorare è una competenza irrinunciabile, di cui negoziare è il cuore

 

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