Innovazione: Il modello Black Box secondo Kline e Rosenberg

Innovazione: Il modello Black Box secondo Kline e Rosenberg

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L’innovazione è un concetto difficile tanto da definire quanto da misurare.

Stephen J. Kline e Nathan Rosenberg riportano, nel loro lavoro The Positive Sum strategy del 1986, che molti economisti definiscono l’innovazione, in particolare quella tecnologica, come una scatola nera della quale non si conoscono le forze ed i processi che agiscono all’interno di essa.

 

Figura 1 – Prof. Nathan Rosenberg [Fonte: Stanford University].

Figura 1 – Prof. Nathan Rosenberg [Fonte: Stanford University].

Nonostante la difficoltà di definizione, si possono riconoscere diverse tipologie di innovazione e diversi fattori che sembrano favorirne o ostacolarne l’insorgenza.

Le diverse tipologie di innovazione possono essere dovute alla tecnologia, alla combinazione di conoscenze diverse, alla formazione di network, o alla combinazione di concetti derivanti da domini diversi. In ogni caso, un’innovazione può riguardare qualsiasi aspetto nell’ambito aziendale, dal prodotto, al processo, ad un modello di business.

L’innovazione secondo il modello Black Box, come detto, viene paragonata ad una scatola nera, ossia un elemento contenente dimensioni e processi non noti. Kline e Rosenberg parlano, per l’esattezza, di molteplici scatole nere in ragione della diversa natura dei vincoli del mercato oltre al fatto che le innovazioni si generano in modi assolutamente diversi rispetto a ciascuna industria di riferimento. Ciò che muta nelle diverse situazioni e nei diversi ambiti di competenza, è sicuramente la base conoscitiva presente nell’organizzazione che andiamo a considerare. Di conseguenza, muterà a fine processo anche il valore e il profitto dell’output che ne deriva all’organizzazione.

Figura 2 - Prof. Stephen J. Kline [Fonte: Stanford University].

Figura 2 – Prof. Stephen J. Kline [Fonte: Stanford University].

Il modello Black Box, anche nel caso in cui considerassimo le eccezioni qui sopra elencate, ha diversi punti critici che hanno portato alla necessità d’individuazione di altri modelli.

In primis, il principio di una scatola di cui non si conosca il contenuto e di cui sia difficile misurarne l’output, è oggettivamente troppo semplicistico.

È infatti possibile che l’innovazione abbia una declinazione diversa dal previsto una volta portata nel mercato: essa infatti, come abbiamo visto nel nostro articolo La fabbrica di spilli di Adam Smith, può anche apportare beneficio ad un’impresa di un settore completamente differente da quello d’origine.

Per esempio, il settore tessile trae benefici da molti altri settori completamente opposti, come l’elettronico, il chimico ed il meccanico.

Inoltre, l’innovazione non è l’immediata applicazione delle teorie scientifiche astratte ma, quasi sempre, richiede lo sviluppo di tutta una serie di componenti affini e complementari, anche a livello di processi, metodologie ed organizzazione, affinché essa possa trovare concretezza.

Errore comune è quello di associare le innovazioni più sensazionali a quelle maggiormente percepibili e quindi per lo più appartenenti alla sfera della tecnologia concreta. Gran parte delle scoperte e delle migliorie che influenzano le organizzazioni sono invece ben lontane dal mero sguardo occasionale.

Sicuramente, l’innovazione rimane dunque difficile da quantificare, per il suo impatto poliedrico e per la difficoltà di inserirla in un contesto dai confini ben delineati e uniformi.

Fortunatamente, questo modo di pensare non ha pregiudicato lo stimolo degli studiosi nella ricerca di un modello che meglio la rappresentasse. E proprio a queste modellazioni dedicheremo i prossimi appuntamenti.

 

Bibliografia:
  • The Positive Sum strategy, Stephen J. Kline, Nathan Rosenberg
  • An Overview of Innovation, Stephen J. Kline, Nathan Rosenberg
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