Fine dicembre del 2013: Justine Sacco, affermata trentenne responsabile di Public Relation di una grande società statunitense si appresta a fare visita alla sua famiglia in Sudafrica per passare con loro le vacanze di fine anno.
Per ingannare il tempo in aeroporto si diverte a postare aggiornamenti del suo viaggio. Prima di decollare da Londra alla volta di Cape Town il suo ultimo tweet ai suoi 170 followers: “Going to Africa. Hope I don’t get Aids. Just kidding. I’m white!” (“Sto andando in Africa. Spero di non prendere l’AIDS. Sto scherzando. Sono bianca!”).
Dodici ore in aereo e quando atterra, a sua insaputa, la sua vita è stravolta.
Mentre è in volo con il cellulare spento, il suo tweet – nell’intento spiritoso – viene visto come razzista e denigratorio e quindi ripreso, commentato e condiviso moltissime volte, diventando virale in pochissime ore, superando anche #Christmas. E valica anche il confine di Tweeter per approdare su altri social: permea insomma la rete a macchia d’olio.
La sua azienda prende subito pubblicamente le distanze da lei con un comunicato che termina con “stiamo prendendo le iniziative necessarie” – leggasi licenziamento, mentre prolificano i siti che riprendono la storia e in rete aumentano biasimo, critiche e addirittura minacce.
Scesa dall’aereo, ancora prima di riaccendere il telefono e controllare la segreteria telefonica, Justine si trova con il mondo ribaltato addosso, con addirittura i fotografi che – inspiegabilmente per lei – l’attendono in aeroporto.
Poco è servito cancellare il tweet, porgere scuse ufficiali e ribadire che stava solo scherzando… non è più rientrata nella vita di prima e, a fatica, se ne è dovuta inventare una nuova partendo da zero (o forse anche meno di zero).
Una leggerezza che le è costata molto cara e che ha pagato a suon di reputazione.
La reputazione è, da vocabolario, la stima e la considerazione altrui. Usata nella forma assoluta ha un’accezione positiva, che spesso viene rafforzata da aggettivi come buona, ottima, solida… Viceversa, quando è cattiva o addirittura pessima, si avverte immediatamente il senso di critica, di disapprovazione e discredito del soggetto associato.
È inevitabile che le persone con cui ci approcciamo abbiano un’opinione di noi, che si crea – in un primo momento – sulle basi di elementi più superficiali su come appariamo, parliamo o vestiamo e, successivamente, su elementi maggiormente profondi come i pensieri, le conoscenze, i nostri valori, il nostro modo di essere. L’idea che quindi le persone si fanno di noi è quella con cui poi ci ricordano e descrivono agli altri, sottolineando gli aspetti che più li hanno colpiti in maniera soggettiva.
E di questi tempi, come abbiamo visto prima, non possiamo prescindere dal fatto che spesso la propria immagine si delinea anche solo da un post su un social, una foto o un commento pubblicati online.
Lo psicologo statunitense Wayne Walter Dyer diceva, a tal proposito:
“La tua reputazione è nelle mani di altri.
Ecco cos’è una reputazione.
È fuori dal tuo controllo.
La sola cosa che puoi controllare è il tuo carattere.”
E diciamolo: il più delle volte scoprire come ci vedono gli altri è spiazzante. Non sempre ci si riconosce e spesso la fotografia che emerge è davvero diversa da come noi sentiamo di essere. Ma non per questo la reputazione individuale è un elemento da ignorare, anzi – a mio avviso è una delle capacità su cui è necessario investire maggiormente con profondo impegno.
Molto spesso la reputazione ci precede – e crea negli altri un’idea di ciò che siamo a prescindere, e ci accompagna – diranno sempre più di noi quello che si sente dire in generale.
Abbandoniamo un attimo la sfera individuale e pensiamo alla reputazione delle grandi aziende, di prodotti di uso comune, di fornitori di servizi, di strutture alberghiere o della ristorazione, di grandi brand… o anche di personaggi famosi.
Su molti di questi abbiamo una nostra idea delle loro principali caratteristiche senza averli magari provati, utilizzati, conosciuti o frequentati e ce la siamo fatta vedendo immagini, sentendone parlare da altri o leggendo di loro.
E così è anche per noi, nel nostro “piccolo”.
Prova a immaginare questa situazione: più di una persona non ti parla bene di un collega. Se ti dovesse capitare di prendere un caffè con lui, ti sentiresti portato a raccontargli qualcosa che vada oltre i temi più neutri e leggeri come il meteo, il risultato di una partita o il traffico?
Ecco che si fa strada un’equazione semplice: reputazione=credibilità. E andando un passo avanti, possiamo anche dire che credibilità=fiducia… Come abbiamo visto nell’esempio sopra, è un attimo non fidarsi di persone che ricevono da altri valutazioni negative.
Giudizi affrettati, etichette, nomee… nessuno è esente e il quadro che ne esce è molto spesso caratterizzato dai difetti più visibili o, paradossalmente, anche dai pregi che diventano comunque debolezze come quando – ad esempio – ci capita di sentire commenti come “è troppo buono” oppure “sta sempre sui libri”, …
Ovvio, non potremo sempre piacere a tutti e, in particolare negli ambienti caratterizzati da competizione e rivalità, sarà facile e probabile trovare qualche detrattore. Ma la buona notizia, quella su cui poggiare le fondamenta del nostro essere, è che se ci meritiamo l’agognata buona reputazione per quello che siamo davvero, saranno i nostri comportamenti e i fatti che ce la serviranno su un vassoio d’argento.
Con queste premesse diventa necessario abbandonare l’idea del “ma cosa mi interessa di quello che gli altri dicono di me?” e piuttosto rimboccarsi le maniche per lavorare sulla propria reputazione.
Come? Eccoti dieci consigli da seguire passo dopo passo…
1. Interiorizza a fondo il concetto che la reputazione fa la differenza. Non dimenticarti mai che sul piatto della bilancia, nel confronto tra quello che tu pensi di te stesso e quello che gli altri pensano di te, è quest’ultimo a pesare di più. Spesso, molto di più.
2. Mai sottovalutare il valore della reputazione in ogni contesto e in ogni momento. Sei convinto che saranno i fatti a parlare di te? Ricordati che ogni cosa verrà comunque vista attraverso le lenti della reputazione.
3. Visualizza l’eco della reputazione, in particolare quella on-line. Un tempo qualche sciocchezza o baggianata che poteva succedere di fare rimaneva – il più delle volte – nella cerchia dei pochi coinvolti. Conosciamo bene invece, oggi, la velocità e capillarità della diffusione in rete di immagini, notizie, post, tweet… (“e come faranno i figli a prenderci sul serio con le prove che negli anni abbiamo lasciato su Facebook” – Vorrei ma non posto; Fedez / J-Ax)
4. Memorizza l’impatto del passaparola. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ha definito la reputazione come “quello che le persone dicono di te, quando tu non sei nella stanza”. E quelle persone potenzialmente quante volte potranno trovarsi in stanze diverse, con interlocutori diversi ed esprimere su te o sul tuo operato giudizi o pre-giudizi?
5. Collega sempre il valore dei risultati raggiunti a come sono stati raggiunti. Come dicevamo prima i soli fatti non parlano per noi. Il vero successo in ambito professionale è il prodotto dei risultati raggiunti e dei comportamenti attuati. Essere riconosciuti come persone equilibrate, con qualità positive (correttezza, assertività, apertura mentale, intelligenza emotiva, solo per citarne alcune) concorre ad alimentare la nostra buona reputazione.
6. Poniti la domanda “come vorrei essere descritto?”. Come una persona che raggiunge traguardi sfidanti in maniera discutibile? O forse come una persona di successo che si muove eticamente, sulla base di sani principi morali? Non dimenticare che oggi, molto più del passato, il plauso pubblico è ago della bilancia anche nell’affermazione individuale.
7. Utilizza la reputazione come fine per adattare e migliorare il tuo carattere. Poni tra i tuoi obiettivi personali uno standard elevato di reputazione. In ogni situazione, rimanendo te stesso e conservando individualità e riconoscibilità, rifletti su quello che sei o che fai e quindi su come appari. Tieni sempre viva in te la domanda di quale potrebbe essere l’impatto sulla tua reputazione personale.
8. Ricordati che sei tu stesso un buon giudice del tuo comportamento. Ti invito a fermarti ogni tanto e auto-riflettere. A fine giornata chiediti se sei contento delle decisioni prese, di quello che hai fatto, di quello che sei stato. Cerca di essere equilibrato nella valutazione, né troppo severo, né troppo tollerante.
9. Impara dai tuoi errori. Tutti fanno degli sbagli. Te ne puoi accorgere da solo, ma può essere anche molto utile sollecitare feedback e ascoltare ciò che altri ti dicono senza catalogare subito ogni considerazione che non ti piace come “critica distruttiva”. Rifletti e, nel caso, mentre ti assumi la responsabilità della scelta fatta, cerca di correggere fin da subito la traiettoria.
10. Considera la tua reputazione un bene prezioso. Le persone sono giudicate dalle loro azioni; non sarà possibile sempre e in ogni occasione prendere le decisioni ottimali, ma impegnati a fondo per mantenere ogni giorno e in ogni contesto alti standard e salvaguardare – se non alimentare – la tua reputazione.
Questi sono i miei suggerimenti per lavorare sulla tua reputazione. Ma desidero affidare la mia conclusione a Warren Buffett, grande investitore americano – uno degli uomini più ricchi del mondo, che ci ricorda:
ci vogliono vent’anni per costruire una reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo, farai le cose in modo diverso.
E vista anche la storia di Justine Sacco, sicuramente cercheremo di spendere al meglio i nostri cinque minuti.