Il futuro del business: Carlo Bagnoli

Il futuro del business: Carlo Bagnoli, professore ordinario di Innovazione strategica all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

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Carlo Bagnoli

Il Covid-19 rappresenta solo una minaccia o può essere anche un’opportunità per il futuro del business?

Paradossalmente, le pandemie si sono sempre dimostrate capaci anche di mutare il corso della storia in positivo, innescando l’innovazione dei sistemi religiosi, politici, economici, ma anche tecnologici. Quali linee strategiche andrebbero dunque seguite per affrontare il futuro con gli strumenti più adatti al cambiamento in corso? È vero che, come afferma l’economista Paul Romer, “A crisis is a terrible thing to waste”?
Ne abbiamo parlato con Carlo Bagnoli, Professore ordinario di Innovazione strategica all’Università Ca’ Foscari di Venezia e delegato del Rettore all’Innovazione Strategica.

Pandemia: minaccia o opportunità per il futuro del business?

Quando, l’11 marzo 2020, il direttore dell’OMS dichiara il Covid-19 una pandemia, si ravviva lo spettro di un nemico antico, che nei secoli ha ucciso più esseri umani di qualsiasi altro disastro naturale.

Paradossalmente, però, le pandemie si sono sempre dimostrate capaci anche di mutare il corso della storia in positivo, innescando l’innovazione dei sistemi religiosi, politici, economici ma anche tecnologici. Basti pensare alla peste nera medievale, che, secondo Herlihy, favorì innovazioni quali le armi da fuoco e la stampa, in sostituzione, rispettivamente, dei soldati e dei monaci amanuensi falcidiati dall’epidemia.

Per spiegare questa co-esistenza di effetti nefasti e propizi, viene in soccorso proprio l’etimologia del termine paradosso, secondo cui qualcosa, che apparentemente contraddice l’opinione comune, si dimostra invece valido. La caratteristica fondamentale del paradosso è, infatti, la co-esistenza di due poli contrapposti: uno non esclude l’altro, anzi, senza l’uno non esisterebbe l’altro. La co-esistenza tra minaccia e opportunità in tempo di crisi è testimoniata anche da esempi recenti quale quello di Alibaba che, nel 2003, in piena esplosione della Sars, lanciò Taobao, diventato il sito di e-commerce più grande al mondo, o Airbnb, fondata nel 2008, nel pieno della crisi prima immobiliare e poi finanziaria. Recuperando le parole pronunciate nel 2004 dall’economista Paul Romer: “A crisis is a terrible thing to waste”. La crisi innescata dall’attuale pandemia è, quindi, paradossalmente, una grande minaccia e al tempo stesso anche una grande opportunità per innovare l’intera società e, quindi, le singole imprese. Per lo storico Noah Harari, ad esempio, la chiusura dei luoghi di lavoro rappresenta “il più grande esperimento al mondo di work-from-home”.
Più in generale, la paura del contagio da Covid-19, prima, e il distanziamento sociale imposto per legge al fine di rallentarne la corsa, poi, hanno causato drastici cambiamenti nel modo di produrre e consumare. Questi impongono alle imprese di riflettere sulla validità del proprio modello di business ponendosi, innanzitutto, la domanda se tali cambiamenti siano temporanei o permanenti. L’attuale chiusura dei bar e ristoranti e, soprattutto, delle scuole, sono per certo fatti temporanei, ma potrebbero essere permanenti altre situazioni, altrettanto eclatanti, quali la ritrosia a frequentare luoghi o mezzi di trasporto pubblici e il conseguente massimo ricorso a piattaforme e canali digitali. Queste nuove abitudini forse perdureranno anche quando non saranno più imposte dalla legge.

Sono nate nuove abitudini, nuove maniere di gestire il lavoro, un recupero di valori che venivano sottovalutati; queste nuove maniere di affrontare la vita ed il business si consolideranno o torneremo al mondo di prima?

La pandemia ha solo accelerato un processo irreversibile, costringendoci a vincere la pigrizia che naturalmente abbiamo nel cambiare le nostre routines, oppure, appena finita la crisi sanitaria, ritorneremo al business (& life) as usual? Potremmo continuare a ricorrere a smart working, food-delivery, online training program. La pandemia, inoltre, potrebbe aver fatto prevalere solo localmente e temporaneamente la sicurezza sulla privacy, oppure potrebbe aver aperto la strada al controllo centralizzato in remoto e continuo di tutte le attività umane. Siamo anche consci di cosa ci mancherà una volta terminata la crisi, partendo dalla gestione del proprio tempo. C’è da dire che il distanziamento sociale non è stata una pratica facilmente assimilabile, vista la propensione umana al raggruppamento e alla comunità. Questo porterebbe a immaginare che molti effetti della crisi siano temporanei. La storia ci insegna che alcuni comportamenti, adottati durante l’influenza spagnola del 1918-1920, in primis l’uso delle mascherine, sono svaniti una volta finita la crisi, ma molti altri si sono radicalizzati. Su tutti, il movimento salutista contro l’alcool ha portato, nel 1920, alla legge sul proibizionismo.

Ci può suggerire quali sarebbero le linee strategiche da seguire per affrontare il futuro con strumenti adatti al cambiamento in corso?

Per prepararsi alla nuova normalità, finita la crisi sanitaria e, quindi, ad affrontare la recessione economica conseguente, le imprese dovrebbero adottare i seguenti 5 programmi:

  1.  sviluppare scenari multipli assicurandosi che l’impresa sia in grado di sopravvivere in tutti attraverso degli stress test;
  2. accelerare la digitalizzazione che stava già rimodellando tutti i settori, rendendo le posizioni competitive più fragili;
  3. investire in innovazione di prodotto e processo per non minare il potenziale di crescita nel lungo termine;
  4. investire in innovazione di modello di business approntando una trasformazione strategica, usando, perciò, la recessione come un’opportunità per creare un senso di urgenza all’interno dell’organizzazione, in vista del cambiamento su larga scala che sarà necessario per avere successo in futuro;
  5. collaborare alla risoluzione dei problemi comuni in quanto i pressanti rischi tecnologici, economici, sociali e ambientali di oggi non possono essere risolti senza un’azione collettiva che coinvolga gli enti governativi e le imprese.

Le indicazioni hanno una valenza strategica crescente. Le imprese possono fermarsi a riflettere sulle prime due o accogliere anche le restanti per sfruttare le opportunità strategiche offerte dalla pandemia.
L’ultima indicazione che si vuole dare è che se un’impresa ha deciso di non limitarsi a ripristinare la normalità, la strategia migliore non è aspettare che l’incertezza dell’attuale contesto competitivo diminuisca, emulando Quinto Fabio Massimo detto il Temporeggiatore, per decidere come ridisegnare i modelli di business, ma mettersi subito all’opera, per ottenere il cosiddetto ‘vantaggio del pioniere’. Sembra ragionevole dedicare questo tempo di rallentamento all’ozio, nel senso, però, che il termine aveva in latino, ove otium era il tempo libero dal negotium, cioè dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici, e che poteva esser dedicato alle cure della casa, del podere (che, oggi, sarebbe l’azienda), oppure agli studi.

Quanto è importante la velocità di applicazione di questo nuovo approccio?

Bisogna tener presente che quando si innova veramente, la direzione dovrebbe essere più importante della velocità, in quanto, se si è imboccata la strada sbagliata, l’effetto negativo sarà ancora peggiore. Più che rispondere alla crisi accelerando l’implementazione delle vecchie strategie, le imprese dovrebbero quindi proporne di nuove basate sulla sostenibilità (fine) attraverso la risonanza (mezzo) tra la tecnologica, la biologica e l’economica.

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