Energie rinnovabili: Stefano Fumi, CEO di NeN

Energie rinnovabili: Stefano Fumi, CEO di NeN

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Stefano Fumi, CEO di NeN, che si definisce come la prima startup Enertech in Italia: con la sua offerta 100% digital e 100% green, NeN punta a modificare radicalmente il mondo della fornitura domestica di energia elettrica e gas grazie alla tecnologia.

NeN è una start up nel settore luce e gas, ma in pochi mesi è riuscita ad ottenere la notorietà di brand che tantissimi competitor inseguono da anni. Come è nato il progetto e quali obiettivi vi siete dati? Come avete ragionato nell’identificare brand identity e posizionamento?

Il progetto è nato in A2A e rappresenta a tutti gli effetti un’iniziativa di corporate entrepreneurship. Oggi siamo una società di energia fatta e finita, di cui A2A è il primo investitore. Ci piace pensare a NeN come a una “navicella” che si è staccata dal gruppo per esplorare i territori digitali e le nuove generazioni di consumatori di energia.

Ci siamo dati degli obiettivi di business importanti, soprattutto in termini di penetrazione di mercato e acquisizione clienti nei primi 5 anni di vita del progetto. Da questi obiettivi, e dalle diverse decine di analisi e ricerche che abbiamo fatto nei primi mesi di definizione del progetto, abbiamo gettato le basi di quello che è oggi il nostro brand.
Parlando di identità di marca e posizionamento: siamo giovani, ma siamo partiti con un’idea chiara, ossia che volevamo diversificarci dagli altri 800 fornitori, e per farlo abbiamo chiesto alle persone cosa si aspettassero di diverso.
L’idea è molto semplice: prendi il mercato dell’energia, elimina tutte (o quasi) le cose che non piacciono a nessuno e crea un prodotto che dia la migliore esperienza di servizio possibile, da ogni punto di vista, ossia comunicazione, tecnologia, trasparenza e semplicità.

Cambiare il linguaggio di un settore merceologico è una grande sfida che va oltre il puro successo del progetto imprenditoriale. Come e perché lo state facendo, a chi parlate, quali feedback state ricevendo dal mercato?

Lo stiamo facendo perché crediamo fermamente che non sia un optional ma un fattore chiave di successo.
Il mercato dell’energia è complicato, nel vero senso della parola: linguaggio tecnico, burocrazia, molteplicità di attori e elementi in gioco. Negli anni questa complicazione è diventata sinonimo del mercato stesso, al punto da creare una situazione di sfiducia verso i fornitori e di disinteresse generale. Nessuno ha mai voluto fare qualcosa per cambiare la situazione in parte per l’orgoglio di gestire un mercato così complicato e in parte perché è, tutto sommato, più facile vendere (e guadagnare) su qualcosa di cui il tuo cliente ha bisogno e che non ha le leve per comprendere fino in fondo. Da ultimo, di solito, quando i fornitori parlano di energia, la associano all’energia vitale o a un’entità mistica trascendente con cui ognuno di noi può fondersi. Il che per noi fa parte di un modo sorpassato per raccontare le cose.

Questo ci ha fatto capire che il primo passo per cambiare il mercato doveva essere proprio il linguaggio.

E la scelta del linguaggio è forse la cosa a cui dedichiamo più energie, con un unico obiettivo: mettere in evidenza la nostra diversità e creare un “love brand”, qualcuno che il cliente possa finalmente scegliere e non subire. Partiamo dal nostro payoff “non pensare all’energia”, che va in direzione opposta al meccanismo segnalato prima, tipico delle energy company, di creare una connessione mistica, tra energia vitale e luce & gas.
Per la comunicazione in generale, ogni punto di contatto per noi diventa un esercizio creativo, in cui cerchiamo di estrarre il massimo dal contesto, fatto di momento, messaggio, mezzo e persona che interagisce con essi. Sempre tenendo a mente che pragmatismo, empatia, e coraggio sono i nostri mantra quando pensiamo al linguaggio. Le reazioni delle persone alla nostra comunicazione sono tipicamente di due tipi: entusiasmo o naso che si storce, ma difficile passare inosservati, e per ora prevale l’entusiasmo.

Siete digital ok, nel vostro annuncio con forbice e sasso manca la carta. Ma nel media mix stampa e affissioni sono ben presenti. Come si fa della buona comunicazione oggi nell’off line? Con quale ritorno?

Potremmo iniziare con una domanda: esiste ancora questa distinzione tra online e offline? Non siamo ormai nell’era dell’on-life, per citare Luciano Floridi?

Lo diciamo perché molte delle nostre campagne su mezzi che solitamente rientrano nella definizione di ATL (above the line), fioriscono e raggiungono la loro maturità online. Ed è una cosa normale, dal nostro punto di vista.

Per questo motivo, quando pensiamo alle nostre attività di comunicazione, difficilmente partiamo dal messaggio, molto più spesso ci focalizziamo invece sulla situazione di consumo del messaggio, sulle persone che potrebbero effettivamente incrociarlo e sulle emozioni e valori che vogliamo veicolare.
Prendiamo ad esempio la nostra 4° di copertina su Internazionale oppure i poster OOH (out of home) in cui diciamo semplicemente che “vorremmo darti luce e gas in cambio dei tuoi soldi”. In entrambi i casi il messaggio è passato perché lo abbiamo veicolato tenendo in considerazione l’esigenza mediatica di chi li avrebbe consumati. E il buzz che ne è scaturito è stato la nostra cartina al tornasole.

Aggiungo che l’offline ha un elemento di concretezza che a noi piace molto, ci permette di materializzare il brand e di entrare nella sfera prossemica di tutti quelli che, in quel momento, si eleggeranno a nostri “target”.

Quanto nel vostro progetto è marketing strategy, e quanto è lo specchio di una cultura aziendale veramente condivisa? Cosa mi dici della comunicazione interna a NeN?

Questo, credo, sia il vero segreto di NeN: per fortuna, ci crediamo davvero tutti. Essendo una startup siamo cresciuti insieme al brand, lo abbiamo costruito attorno a dei valori condivisi, abbiamo contribuito tutti a disegnarne almeno un pezzo e questo ha fatto tanto nella costruzione della nostra cultura aziendale, che si rispecchia in NeN, nel nostro tone of voice, nelle cose che facciamo e in come le facciamo. Certamente il Covid non ha aiutato, ma nonostante la distanza fisica siamo riusciti a crescere (in organico) e a mantenere lo stesso spirito iniziale.

La comunicazione interna in stile classico è probabilmente una delle nostre pecche, che però si traduce in un vantaggio gestionale nei rapporti e nei processi. Siamo trasparenti, non lo avevo ancora detto. E la trasparenza che utilizziamo per comunicare all’esterno è la stessa che utilizziamo internamente, sia nei nostri meeting settimanali in cui ci raccontiamo andamento attività, perplessità e raccogliamo feedback, oltre a tutti i momenti più istituzionali che per noi si traducono solitamente in momenti di festa.

Cosa significa essere “green” nel 2021 e quanto può fare la differenza nel lungo periodo?

Come diciamo anche sul nostro sito, citando uno slogan molto efficace, è l’unica cosa che può fare la differenza dato che “non abbiamo un pianeta B”.
Partiamo sempre dalla premessa che la produzione di elettricità è il principale fattore di emissione di CO2 a livello mondiale, quindi come rivenditori di energia ci sentiamo di non poter ignorare il problema in alcun modo. Al tempo stesso la transizione dal gas e dai motori endotermici all’elettricità è fondamentale per la maggiore efficienza e la minore entropia di questo vettore.
Inoltre, nel caso ci fosse stato ancora bisogno di buone ragioni per cambiare il mondo, sappiamo di correlazioni forti fra lo stato di salute del nostro pianeta e lo sviluppo del Covid, che ha trovato terreno fertile nelle aree maggiormente inquinate.

Io credo che abbiamo una importante responsabilità, come fornitori di energia, ossia quella di creare cultura del green. Su questo versante abbiamo scelto di non fare scegliere il cliente: noi abbiamo una sola offerta che prevede energia green al 100%, ossia acquistata solo da fonti rinnovabili italiane, ossia eolico, fotovoltaico e idrico. Abbiamo stretto degli accordi diretti con una serie di produttori di energia rinnovabile in Italia per cui ci impegniamo ad acquistare la nostra energia da loro. Dal nostro punto di vista è la soluzione migliore per investire nelle rinnovabili e disincentivare la produzione a combustibili fossili.

Oltre a ciò, dal mio punto di vista, c’è ancora una grossa difficoltà a mettere in atto le misure necessarie per il bene del pianeta. Perché queste misure possano essere efficaci ed applicate su larga scala, c’è bisogno di tradurre questo approccio in attività concrete, azionabili, misurabili e rilevanti, che è quello su cui ci stiamo impegnando in questo momento, con l’aiuto della tecnologia.

Il “verde” è soprattutto sensibilizzazione. Per questo motivo lavoriamo molto su due fronti: da una parte cerchiamo di aumentare la consapevolezza dei consumi dei nostri utenti per invitarli ad avere dei comportamenti di consumo più responsabili, attraverso la nostra app e le soluzioni tecnologiche che stiamo sviluppando. Dall’altra cerchiamo costantemente aziende o startup che stanno sviluppando progetti sostenibili per cercare di fare rete, sostenerli e promuoverli. Abbiamo iniziato con Biorfarm, continuato con 3Bee e nei prossimi mesi ne avremo altri.
Il tema centrale è che, sicuramente, l’umanità è la fonte del problema ma che, come singoli, possiamo scegliere di essere parte della soluzione.

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