Eventi digitali: Daniele Orzati, Partner e Head of Strategy di Storyfactory

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Daniele Orzati

A cambiare rispetto al passato non sono solo strumenti e modalità di fruizione. Le aziende di oggi si trovano infatti obbligate a ripensare anche, e soprattutto, al contenuto. Ne abbiamo parlato con Daniele Orzati, Partner e Head of Strategy di Storyfactory e professore di Advanced Digital Marketing presso l’Università di Pavia.

Lo scenario incerto e in continua evoluzione al quale stiamo assistendo suggerisce che dovremo rinunciare ancora per un po’ ai grandi ritrovi in presenza. Eppure molte aziende mantengono un certo scetticismo nei confronti delle alternative digitali. Perché, invece, dovrebbero convincersi del contrario?

Parto con una premessa e una constatazione. Un evento può essere “narrativo” perché propone una narrazione, uno show lineare (presentazioni), oppure può essere narrativo perché ricrea un mondo (exhibition). La premessa dunque è che qualsiasi tipologia di evento, se costruito narrativamente, può avere un adattamento in remoto, anche se con diversi gradi di complessità.

E qui viene la constatazione: l’immobilizzazione totale vissuta in questo 2020 (curioso contraltare della “mobilitazione totale” su cui è stato scritto molto nel Novecento) e il conseguente blocco forzato degli eventi per così dire “tradizionali” hanno portato molti nodi al pettine. Alcune aziende hanno semplicemente atteso – e stanno ancora attendendo –, altre si sono chieste quali eventi fossero effettivamente per loro irrinunciabili. C’è chi stenta a optare per una alternativa perché non ha eventi davvero immancabili, e chi ha iniziato a fare eventi proprio con il lockdown.

Cambia il contenitore, cambia anche il contenuto. Perché sarebbe un errore pensare di poter replicare in formato digitale ciò che fino a ieri prendeva forma nel reale? Di quali differenze dobbiamo tenere conto a livello di progettazione narrativa?

Sì, cambia il contenuto, o meglio parte della sua rappresentazione. Tendenzialmente, in digitale si perde la dimensione della libera esplorazione degli spazi (se non a fronte di investimenti tecnologici importanti) e delle relazioni (networking). Dico “tendenzialmente” perché non si tratta di elementi del tutto irrecuperabili in fruizione remota.
Nella progettazione narrativa si cerca di recuperare quella dimensione conviviale che poteva alternare l’esperienza, quelle pause che ci salvavano da un overload cognitivo. Nelle progettazioni sulle quali stiamo lavorando cerchiamo di recuperare stimoli ludici o leggeri, ad esempio raccogliendo contributi dalle audience in fase di teasing per poi riproporli durante l’evento. La fase di teasing, in generale, assume una particolare importanza, perché la giusta attesa stimola una fruizione dell’evento digitale nel momento in cui va on air. Altrimenti l’evento si riduce ad un semplice contenuto che, registrato, può essere fruito in qualsiasi momento, perdendo però l’attualità dei suoi temi.

In un momento storico come questo, nel quale aziende e stakeholder sono fisicamente ancora più distanti, la fase di ascolto da parte dell’azienda assume, se possibile, un ruolo ancora più centrale nell’identificare i grandi bisogni della propria audience. Quali emozioni e quali necessità stanno emergendo in questo particolare momento storico?

L’immobilizzazione totale che stiamo vivendo ha posto con maggior evidenza un’esigenza: un evento deve essere progettato per essere davvero rilevante in termini di contenuti per le proprie audience. Se in remoto si perde la libera esplorazione, sia in termini di stimoli percettivi che relazionali, la motivazione alla partecipazione si concentra effettivamente sui contenuti. Gli ultimi eventi digitali che abbiamo progettato in contesti aziendali, con partecipazioni ampie, a volte di tutta la popolazione interna, non avrebbero avuto lo stesso grado di efficacia se non avessero tratto spunto dall’ascolto delle audience. In questi casi, prima di metterci a progettare abbiamo ascoltato le persone: con l’inizio del lockdown ci hanno espresso un forte bisogno di rassicurazione, cui abbiamo risposto con eventi “instant” in cui la leadership aziendale, senza mediazioni, mostrava la propria presenza e dimostrava la propria prontezza. Ma dopo un paio di mesi il bisogno di cura ha preso una direzione differente, ad esempio: dalla cura si è passati al bisogno di esplorazione di nuove vie, nuove modalità di lavoro; si è passati al bisogno di nuove forme di progettualità condivisa; si è passati al bisogno di potenziare competenze che prima erano sottovalutate.
Sembra pura teoria, ma non lo è per niente: se il tuo Amministratore Delegato è visto come un immobile Saggio, ma le persone hanno bisogno di nuovi stimoli, allora nel tuo evento, come speaker, dovrai mettere al suo fianco una figura, un testimonial che rappresenti l’archetipo dell’Esploratore. Solo così, compensando, risponderai alla vera esigenza della tua audience. È solo una tra le tante soluzioni trovate in questi mesi per rispondere alle esigenze profonde dei pubblici. L’evento nello specifico cui faccio riferimento ha avuto una risonanza tale che dall’interno si è naturalmente diffuso all’esterno, e, seppur chiuso, è stato comunicato sui canali social del brand. Una logica che abbiamo chiamato “inside-out”.

Il settore delle fiere e degli eventi B2B è in grande sofferenza e ci sono comparti che più di altri faticano nel trovare un’alternativa all’esposizione fisica e concreta della loro offerta. Pensiamo ad esempio alle aziende dell’arredo, dell’industria o della meccanica. Vale forse la pena concepire questo cambio di rotta come una preziosa occasione per ripensare il racconto stesso del prodotto?

Spesso, mi verrebbe da dire un po’ provocatoriamente, il racconto non è da ripensare, ma da fare. Diciamo che oggi non si può più eludere il racconto di prodotto. Mi spiego: finora ci si è potuti permettere di mettere in mostra la propria value proposition nuda e cruda. Oggi è necessario invece metterla in scena: con un racconto d’uso ed emotivo che testimoni in che modo il brand (aiutante) offra un prodotto / servizio (oggetto magico) per portare un beneficio (tesoro) e magari raggiungere una vera e propria impresa sociale-collettiva (purpose). Tutto questo si può fare, è nelle potenzialità intrinseche della narrazione, perché questa tiene insieme in un’unica struttura tutti gli elementi che concorrono al senso delle cose. Con la narrazione ciò che è remoto diventa prossimo.

Articolo di Pubblimarket2
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