Food: Tarsia Trevisan, caporedattore di Classlife

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Pre-Covid e post-Covid: è cambiato il modo di comunicare dei brand del settore food? Gli strumenti sono gli stessi di prima oppure si fanno scelte diverse, magari maggiormente orientate al digitale?
Quali saranno le tendenze future della comunicazione enogastronomica?

Trasformare gli ostacoli in opportunità. Se c’è qualcosa che questa pandemia ci ha insegnato, è che gli italiani hanno saputo reagire per il verso giusto: rimboccandosi le maniche per mettersi a fare il pane, la pizza, i dolci in casa. Trasformandosi in insegnanti del Terzo Millennio, a supporto di bambini, giovani e ragazzi alle prese con la D.A.D. Così come i singoli, anche le aziende del food, messe a dura prova dal Covid-19, hanno dovuto rimodulare la propria voce. E rivedere le strategie. Oggi come oggi, avere comportamenti etici e comunicarli ai consumatori si sta confermando una strategia vincente per le aziende del largo consumo. E se il mondo intero sta vivendo una triplice crisi – climatica, economica e pandemica – serve una visione di cambiamento profonda. Richiederà tempo, ma si intravedono già i semi: in questo anno segnato così pesantemente dal Covid-19, dalla crisi economica globale, dai lockdown in tutto il mondo, c’è un valore che non soltanto non è stato cancellato, ma anzi è stato rimesso in primo piano e della sua importanza in tanti, finalmente, hanno acquisito consapevolezza: il valore della trasparenza. E la necessità di comunicare questo valore, orientandosi maggiormente al digitale. Si perché la porta di ingresso principale nel 2020 ormai è chiaro essere il World Wide Web. Streaming, piattaforme, Webinar, virtuale, digital events: stiamo imparando ad appropriarci in modo nuovo ad un mondo che per sua natura deve essere toccato con mano, gustato, vissuto in maniera esperienziale. Il giusto mix tra esperienza in presenza e esperienza virtuale, sicuramente è la strada tracciata per il futuro.

Con la crisi Covid come si è evoluto il rapporto tra food journalism e storytelling? Tra giornalisti, food blogger e influencer il confine sembra sempre più labile: lei cosa ne pensa? Come è cambiato il pubblico del food journalism di qualità? 
Dalle aziende agricole alle piccole industrie di trasformazione, ai ristoranti stellati, la comunicazione del brand food ha sicuramente subito i contraccolpi di una pandemia inaspettata. Ma per reagire al momento storico e cavalcare la digital transformation, l’ingrediente giusto resta sempre soddisfare il proprio pubblico, valorizzando la propria storia. E se stando ai primi dati della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, qualche decina di migliaia di imprese chiuderanno, uno dei fattori discriminanti sarà l’incapacità di intercettare bisogni e strategie, oggi sempre più necessariamente digital. Il periodo che stiamo vivendo post Covid-19, ha lasciato una ferita profonda in tutti noi, non solo sul piano umano, ma soprattutto sotto il profilo economico. E i settori che in Italia sono i più colpiti sono quelli che fanno perno sulla convivialità e la food experience. Per paradosso, proprio in un momento storico in cui la sala stava vivendo un periodo di rinascita, ne siamo rimasti privati. Di sicuro è stato avvantaggiato chi aveva già sposato il digitale, ovvero chi aveva già compreso l’innovazione e i nuovi bisogni degli utenti. In due mesi, gli scienziati parlano di una digital transformation che sarebbe occorsa in due anni. E su questa dobbiamo lavorare: le strategie vincenti sono sempre l’attenzione al pubblico, al sentiment legato al piatto, ai bisogni e all’esperienza dei clienti.
Quanto allo storytelling del brand food, sembra che abbia subito anch’esso un’accelerazione. Anche se non tutte le storie sono efficaci. Lo è stato dall’inizio dei tempi e lo è soprattutto oggi, dove la comunicazione è sempre più legata all’emozione. Ma lo storytelling non esaurisce l’importanza del cosa stiamo raccontando, bisogna costruire messaggi adeguati. Nei giorni di lockdown si sono visti tanti cliché: standard fotocopiati, messaggi ripetuti, che agli occhi dell’utente facevano perdere credibilità e interesse verso il brand. Si rivela dunque strategico raccontare una storia, la propria storia, con un progetto comunicativo dietro, la storia del proprio prodotto e del brand. Ed è più che mai fondamentale sapere a chi raccontiamo questa storia, comprendendo a quale pubblico ci si rivolge, per veicolare diverse tipologie di contenuti: dalle parti più descrittive, alle ricette raccontate, ai video how-to-do. Ogni percorso ha la sua esperienza. E in un momento in cui anche il brand food rischia rapidi oscuramenti o inflazioni, la comunicazione positiva e critica aiuta a non risultare approfittatori o poco credibili. E in questo il food journalism può fare la sua parte. Non lanciando soltanto messaggi orientati al sales o commerciali, bensì ricordando che gli ingredienti vincenti sono la vicinanza all’utente, la condivisione di valori, dalla sostenibilità all’attenzione all’ambiente. Il brand del cibo non deve però fare politica, non deve schierarsi, ma non può essere fuori dal campo. Questo, il mantra narrativo che sarà perpetuo e che durerà anche nella fase 3, del rilancio e della rinascita.
E probabilmente questa rinascita la sapranno sicuramente raccontare bene chi ha saputo essere audace e reinventarsi. Chi già in tempi non sospetti ha saputo sovvertire le regole per seguire le proprie passioni. Food blogger, influencer, ma anche food journalist che hanno saputo adattarsi ai tempi che cambiano cogliendo un’opportunità, sovvertendo i codici prestabiliti, girando le carte in tavola per modellare un nuovo futuro, facendo sentire la propria voce: una giovane avanguardia tanto consapevole delle sue responsabilità quanto desiderosa di convivialità. E questo concetto è ancora più vero in questo momento storico. In cui nulla sembra come prima. Perchè anche gli interlocutori sono cambiati: per questo un food journalism di qualità non deve essere rappresentato da persone che si sentono arrivate, bensì da individui perennemente in viaggio, in continuo cambiamento. Il mondo non ha bisogno della perfezione. È molto più stimolante seguire chi sta facendo un percorso senza paura di provare, cambiare e sbagliare.

Per quanto concerne invece la fruizione dei Media post Covid, quali sono i valori ai quali il consumatore tende nel processo d’acquisto? Sono cambiati rispetto al pre-Covid? Come li stanno evidenziando i brand nelle loro narrazioni?
Tra le conseguenze che il lockdown ha avuto sulle nostre vite, una è stata inaspettatamente positiva: abbiamo sprecato meno e curato di più la nostra alimentazione. Il recupero degli sprechi alimentari, e lo sviluppo di un’economia circolare stanno diventando i nuovi paradigmi delle abitudini alimentari degli italiani. È innegabile infatti la necessità di modificare radicalmente il nostro modo di nutrirci, mettendo in discussione la nostra cultura alimentare e proponendo alternative più etiche e sane. Siamo quello che mangiamo, per questo è importante conoscere i principi base dell’alimentazione e informarsi costantemente. E la sicurezza alimentare sta diventando uno degli elementi chiave, anche alla luce della recente emergenza sanitaria globale. Loghi, “bollini” e claim che certificano l’origine delle materie prime, le modalità produttive, il rispetto dell’ambiente e dei lavoratori sono percepiti come segnali rassicuranti da chi acquista un determinato prodotto. E l’immagine confortante più diffusa sulle confezioni risulta essere la bandiera del paese d’origine. La bandiera italiana. Mentre un ruolo chiave lo svolgono anche le certificazioni legate alla Corporate social responsibility (CSR). Come ha recentemente affermato in un’intervista televisiva Larry Fink, CEO di Blackrock – la più grande società di investimento nel mondo con sede a New York, che gestisce un patrimonio totale di oltre 7 000 miliardi di $, di cui un terzo in Europa – nonostante al momento i mercati mondiali sono giù di 4 e alcuni anche 11 punti percentuali, dall’inizio dell’anno, “i clienti si sono rivolti a Blackrock più del solito. Perché? Perché cercano informazioni più contestualizzate, dati reali con i quali potersi orientare sul mercato. Vogliono avere maggiori informazioni sulle aziende. E per leggere e interpretare quelle informazioni ci siamo noi, per aiutarli a investire i loro risparmi.” Ecco come dovranno comunicare in era post-Covid i brand del settore food. Dovranno raccontare più di se stessi. Dovranno presentare quegli uomini che ci stanno dietro. Dovranno comunicare al cliente il loro approccio etico e sostenibile.

 

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